Gruppo di lettura III incontro, il diario di Carlo

testataIIIIl gruppo di lettura della libreria Controvento mi sta regalando molto più di quanto postessi immaginare, parliamo di libri, certo, ci raccontiamo le nostre letture, e questo è ovvio, ma quello che davvero ogni volta mi colpisce è la disponibilità di tutti al racconto, diventiamo narratori.
Maria al secondo incontro raccontò a voce bassa, emozionandosi, ed emozionandoci, che le mancava la sua città, Napoli, le mancava il “coro”… e da quel suo racconto poi siamo arrivati a scegliere il libro “Il Mare non bagna Napoli” proposto da Salka.
Quando parliamo dei libri, ci raccontiamo i pensieri, poi le storie fioriscono e nelle parole di ognuno.
Ecco perchè ho proposto di tenere un diario degli incontri, per non perderli tutti questi racconti. Palmira sta scrivendo il diario del secondo incontro in cui abbiamo parlato di Nemico Amico Amante di Alice Munro,  Carlo invece ha già scritto il diario del terzo: Il mare non bagna Napoli.
Buona lettura!

Diario di un gruppo di lettura a Telese Terme
di Carlo

Secondo incontro, anzi no, è il terzo, se contiamo anche il primo, introduttivo.

Siamo pochi stasera. Iniziamo un po’più tardi rispetto al solito. Il cane non l’ho portato, ecane.hellen dei pochi convenuti nessuno ha portato qualcosa da mangiare o da bere. Abbiamo fatto tutti la stessa pensata, che siccome l’altra volta tutti hanno portato qualcosa e avanzò un macello di roba allora nessuno ha portato niente contando sul fatto che lo avrebbe fatto qualcun altro. Meglio cosi’, la mia disciplina alimentare ultimamente vacilla parecchio. Anche se la mia piccola, Martina, ci rimane male, aveva messo il pensiero sui tarallini. La mia grande, Sara, invece si è fiondata con la capa nei libri e non sente nulla e nessuno.

In sottofondo Beatles, sembra che Filomena non senta altro.
(nota della libraja: vero…quando non so cosa ascoltare ascolto solo i Beatles. Sto cercando della musica nuova ma non la sto trovando. Potreste farmi una playlist!)

Si inizia con alcune comunicazioni di servizio, tra le quali Filomena ci espone il suo intento di defilarsi progressivamente e poi scomparire, perché non vuole essere lei quella che ci ospita, ma dobbiamo essere noi a sentire la libreria come uno spazio nostro da fruire a prescindere dalla sua presenza. Ho detto bene Filomè? Ma non te la cavi mica così. Non sei mica solo la proprietaria della libreria, sei un’anfitriona, una simposiarca. E infatti gliela faccio la battuta, dico ma poi ti possiamo invitare qualche volta al gruppo di lettura? Non ride quasi nessuno, sono strani questi ragazzi.

Comunque, apriamo i lavori, il libro ci pare subito che è piaciuto a tutti, Palma timidamente accenna che sarebbe bello continuare il filone su Napoli, e io a denti stretti (ma a voce bassa), noooooo, lei mi sente e ci rimane un po’ male, ma sorride sempre Palma, e quindi via col libro: secondo lei è duro, emozionante, e intriga soprattutto la similitudine frequente con cose naturali. Questa cosa me l’ero persa leggendo e quindi chiedo chiarimenti, lei me li da ma nel frattempo mi scordo di scrivere l’esempio che mi ha fatto che pure mi piaceva, Palma quando leggi ce lo aggiungi per favore? O quello o un altro.

Poi riprende Giulia, che dice interessante soprattutto il periodo storico, ovvero primo dopoguerra fino agli anni 60, un periodo pieno di ideali poi sfumati e di intellettuali poi svaniti.

Franco non ha letto il libro e si scusa ma coraggiosamente partecipa e vorrebbe fare un parallelo con fine settecento (repubblica partenopea forse?) ma nessuno raccoglie siamo troppo presi dal libro.

Giulia prosegue, non è un libro solo su Napoli, cita una frase di Rea dal libro “mangiare molto fa venire sonno” è quello che è accaduto a noi. Io la gente come giulia la detesto invidiosamente, con poche parole esprimono un concetto in maniera limpida e inoppugnabile, perché a me servono sempre dieci minuti di chiacchiere?

Maria Antonietta viene fuori dal suo guscio e riprende da dove Giulia ha terminato: tristemente attuale. Parla della resa di un popolo, della mancanza di voglia di riscatto, parla di ignoranza e rassegnazione.

Sono d’accordo è un libro molto politico, intervengo e parlo della prefazione, in cui lei tiene a sottolineare che dopo questo libro ha dovuto lasciare Napoli per non TORNARCI PIU’. Mentre la leggevo a me è venuto in mente che quelli erano gli anni della napoli da cartolina, di totò, e poi dopo di De Crescenzo

Filomena giustamente cita anche De Filippo e si chiede come mai a lui non sia capitata la stessa sorte, ma lui, replico, non ha come oggetto la miseria, ma l’uomo, la miseria è un contorno e solo a volte.

Ecco interviene Gaetano, quest’uomo mi intimidisce, e sempre serissimo e soprattutto attentissimo, non gli sfugge nulla, allora quando parli ti senti investito da una responsabilità se ti scappa una sciocchezza ma la dici velocemente magari nessuno ci fa caso, ma lui stai sicuro che la noterà.

Allora secondo Gaetano la prefazione va tolta dal libro perché non gli rende onore in quanto lei quasi si scusa dicendo che in quel periodo era depressa.

Magari replico, le manca Napoli e basta, anche a me manca tantissimo, anche se sono fuggito quasi, non ne potevo più di vivere in quel modo, e mentre lo dico rifletto che è la mia prima esperienza di amore/odio. Sarà grave a 38 anni? Ma siccome a me servono mooolte parole per esprimere un concetto allora mi dilungo faccio esempi, e concludo è un libro molto netto, racconta solo una faccia della realtà ma non è la realtà. Forse è l’unico difetto del libro dico.

Filomena aggiunge la prefazione va conservata perché testimonia del fatto che la vita dell’autrice è cambiata a causa di questo libro.

Giulia riprende la parola, lei vede molto la guerra e i postumi, ma io ribatto che è presente solo nel racconto dei Granili, che è quello più impressionante certo, quindi dicevo la guerra, le devastazioni, le sue cattive eredità, Palma legge un passo dal racconto dei Granili, pag 75; tutti hanno avuto inizialmente l’impressione che parlasse dell’albergo dei poveri, che è un edificio oscenamente immenso e fatiscente, ma Filomena ci dice che in realtà i Granili sono stati abbattuti verso la metà degli anni sessanta.

Franco riprendendo l’intervento di Palma afferma che quello che c’è scritto si può estrapolare ed estendere a tutta Napoli anche e purtroppo a quella odierna, e non solo a Napoli, ma all’Italia come a noi è dato di vederla. Giulia cita l’episodio della ragazza che si è buttata dal balcone e quello che la porta a prendere un caffè e si ricorda che pochi anni fa ammazzarono uno a forcella e una telecamera riprese non solo le immagini dell’omicidio a sangue freddo ma si vedevano chiaramente delle persone, o meglio delle gambe che scavalcavano il corpo ancora caldo che giaceva in un lago di sangue sulla soglia della tabaccheria. La televisione ovviamente ci andò a nozze per giorni non fecero altro che dire guardate i napoletani di cosa sono capaci! Era fine 2010-inizio 2011, ricordo che si parlava di primavera araba, cioè erano gli anni tosti della lega nelle stanze del potere. Solo un anno dopo Striscia mostrò che quelli che scavalcavano il corpo per entrare nella tabaccheria non erano fumatori in crisi di astinenza ma agenti di polizia scientifica.

Ma ecco che è da un po’ la discussione si è accesa, a partire dall’intervento di Franco tutti ci sentiamo chiamati in causa, napoletani e non, è vero questo libro scritto 40 anni fa parla anche di noi, parla anche di Telese, di Roma, di Milano, e del nostro tempo. E a tutti noi monta la rabbia, ci diciamo che è vero, ci diamo ragione. Anche Maria Antonietta fa capolino, poi Gaetano rimette ordine leggendo un passo da pag 64, “oro a Forcella”.

Nel frattempo mi distraggo, penso, ma vuoi vedere che stiamo già diventando qualcosa in più di un gruppo di lettura? Del resto era inevitabile, già alzare il culo dal divano e staccarsi dalla televisione oggi è talmente fuori dell’ordinario da essere un gesto politico. Figuriamoci incontrarci con gente di cui non sappiamo nulla, e darci del tu e rispettarci solo perché abbiamo un comune amore per i libri.

Credo veramente che esista un potere oscuro, un leviatano immenso e nascosto, fatto di uomini cattivi, intelligenti e avidi che ci vuole diversi da cosi, che lavora tutti i giorni nell’ombra per renderci schiavi di automobili potenti e reality show, che a voce bassa, in salotti splendidamente arredati e con modi eleganti e raffinati decide che dobbiamo essere passivi, soli, meschini, e aridi. Molto in alto è stato deciso che l’economia di questo paese dovesse essere fatta di cemento e non di turismo, che le scuole fossero lasciate cadere a pezzi, che ci fosse un pusher ad ogni angolo di strada, che i libri diventassero un bene di consumo, da mettere in un “paniere”, o in un sondaggio. Che i lettori diventassero consumatori, che i cittadini diventassero elettori, che gli uomini diventassero servi…

E noi stasera stiamo facendo l’esatto opposto. Stiamo mandando all’aria con poco (ma è poco davvero?) un piano articolato lungo i decenni.

Ma ecco la smetto di distrarmi ho preso l’impegno di scrivere questo diario, e allora Gaetano sta dicendo ecco la frase che salverò da tutto il libro: “esiste nelle profonde terre del sud un ministero nascosto che protegge la natura dalla ragione”.

No, non ci sto, non sono d’accordo, e lo dico, ragazzi prima di condannare un intero popolo senza appello, prima di fare propria una frase del genere lasciando da parte tutto il resto studiamoci la storia di questa terra. Si, d’accordo, siamo cosi e coli, ma ci siamo diventati, non è che ci è piaciuto. Ci hanno messo in disparte, ci hanno stracciato, venduto e comprato per secoli. E siamo stati anche sfortunati: quando Atene era il centro del mondo noi eravamo grandi ma più piccoli di lei, e quindi periferia, colonia.

Quando Roma era il centro del mondo lo stesso. Con Bisanzio lo stesso e la lista è interminabile, va avanti per secoli, l’unico che ha provato a cambiare è stato Federico II. Fino ad oggi, fino al risorgimento, (che noi abbiamo iniziato, anche quello ci hanno rubato Garibaldi e Cavour), fino alla resistenza, quando Napoli insorge e Roma no, non ce lo dimentichiamo, bastava che la linea gotica fosse a sud di Salerno, sarebbe stata un’occasione. Insomma sono lanciatissimo, e arrabbiato, ma non con i miei compagni del gruppo di lettura, sono arrabbiato e basta, sono arrabbiato per qualcosa e non con qualcuno. Che io mi ricordi sono sempre stato arrabbiato per qualcosa, i libri fanno anche questo, ti fanno arrabbiare e disilludere, poi ti ridanno speranza e ricominci da capo. Ora sono arrabbiato per essere dovuto andare via dalla mia città e per sentirmi emigrante a 40 chilometri da Napoli, sono arrabbiato ogni volta che giro per le strade della Campania e vedo oliveti abbandonati, cumuli di immondizia, capannoni, musei della civiltà contadina, e sempre più strade e macchine e sulle strade sempre più buche e nella vita sempre più cose, cose, cose, e le persone sempre più sole, e gli altri annuiscono, mi danno ragione, la discussione lievita, va più in alto. Oro a forcella, la figura della guardia che sa dell’imbroglio e dice ad alta voce io non dico nulla, e oggi è lo stesso, rapido excursus sui vigili urbani a Telese, una vergogna, tutti d’accordo, lo status e il piccolo potere di chi non fa il proprio dovere certo dell’impunità. E non c’è nulla da fare, dico, una situazione del genere si risolve solo con un bagno di sangue, azzerare tutto. Altrimenti sopportare, resistere, e ogni giorno arrendersi un po’ di più. Un milanese è migliore di me perché nella sua storia recente c’ha il risorgimento e la resistenza e noi no. Ecco ho parlato troppo finalmente sto zitto, mi prende come al solito la paura di aver varcato il confine non tanto labile tra il carisma e l’egocentrismo. Però forse no, tutti mi chiedono se le ho scritte queste cose e io li rassicuro più di una volta, c’ho tutto in testa, sui miei appunti solo una parola: STORIA!. Stampatello e col punto esclamativo.

La discussione è finita, si è fatto tardi le mie bimbe cascano dal sonno, anzi la mia piccola si è già addormentata. Passiamo alle proposte. Data la gran quantità di assenti Filomena propone di non condannarli in contumacia, ma di mettere le proposte in rete assieme a questo diario, e poi votere. Tutti d’accordo.

Una ridda di proposte, che scremate sono:

Giulia Jack London: Martin Eden. Bello, piuttosto incazzato, lo rileggo volentieri. Viene considerato il capolavoro autobiografico di quest’autore che fino a 5 anni fa conoscevo solo per “Zanna bianca” e “Il richiamo della foresta”.

 Gaetano Mafuz: “Vicolo del mortaio”. Quest’autore è l’unico premio nobel arabo, e il libro parla del Cairo, o ambientato al Cairo, non ho capito. Sarebbe bello dice Gaetano fare un paragone con quello che abbiamo appena letto.

Mi intriga, ma io propongo,
Carlo Wu Ming: “54”. Romanzo incasinato bello, storico e arrabiato e ironico. Anzi faccio il proponimento pubblico da oggi in poi di proporre solo libri storici.

Maria Antonietta Kapuscinsky: “Ebano”. Bellissimo, è una raccolta di reportage sull’africa dal dopoguerra ai giorni nostri, c’è la decolonizzazione e il Ruanda, la Namibia e l’Etiopia. L’avrò letto 4 volte ma lo rileggo volentieri.

Filomena Fruttero e Lucentini: “La donna della domenica”. Si tratta di un giallo, lei ha bisogno di leggere qualcosa di leggero, ma non futile.

Alessandro anche se assente via sms propone “Norwegian wood” di Murakami.

Salka propone via chat di facebook: Irène Némirovsky Jezabel

Maria propone Storia del piede e altre fantasie di J.M.G. Le Clézio

Proposta di Marcos y Marcos, uno degli editori residenti della libreria Controvento: Federico ci racconta brevemente la storia della casa editrice e propone dei titoli per il nostro gruppo:
La schiuma dei Giorni di Boris Vian
Second Hand di Michael Zadoorian

E questo è quanto ragazzi. Votate!
La scelta è tra quelli che ho riportato io qui a cui vanno aggiunti quelli che saranno proposti dagli editori indipendenti in questo video.

Non è stato facile scrivere questo diario, è la prima volta in vita mia che scrivo un diario, e farlo sapendo che tutti lo leggeranno complica le cose. Non volevo che fosse una cronaca semplice e spoglia, ma rileggendolo mi rendo conto che è straordinariamente egocentrico e personalistico. Siate indulgenti non lo sono forse tutti i diari?

Ciao a tutti.
(grazie mille Carlo!)

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13 pensieri a proposito di “Gruppo di lettura III incontro, il diario di Carlo

  1. Bello, bravo Carlo, mi piaci, mi piace molto questo gruppo di lettura (non mi piace invece Franco: «Franco non ha letto il libro e si scusa ma coraggiosamente partecipa e vorrebbe fare un parallelo con fine settecento» – per il prossimo appuntamento, dategli un giorno sbagliato).

    La depressione, o diciamo più generosamente il senso tragico e irreale della vita della Ortese sono la linfa di questo libro non meno dell’ambiente e del momento storico, quindi è impossibile ignorarla. Eduardo De Filippo non parla della stessa Napoli in cui transita la Ortese; la sua, fin dalla lingua, è una Napoli piccolo-medio borghese, qualcosa che alla Ortese non interessa proprio. Questo detto a uno, io, che Napoli non la conosce affatto…

    Interessanti anche le proposte per le letture successive. Appoggio con particolare calore Fruttero & Lucentini (anche se forse «A che punto è la notte» più ancora della «Donna della domenica») e «54», unica cosa bella di quei palloni gonfiati di Wu Ming. Anche «Martin Eden», ovvio.

    Scusatemi l’intrusione, grazie,

    Marco

  2. Ma a noi piace Franco che ha ascoltato i nostri racconti e poi ha detto la sua! Franco è un lettore fortissimo e conosce bene la storia, i suoi contributi fanno sorgere sempre un sacco di domande…:-)
    il gruppo è aperto a tutti, anche a chi il libro non l’ha letto.
    mi interessava La Donna della Domenica perchè protagonista è la città oltre che la storia e come tu sai….i racconti delle città mi tengono attaccata ai libri.

  3. Va bene, mi fido sui pregi di Franco 🙂

    Anche in «A che punto» c’è tanta Torino, un po’ diversa da quella della Donna: più notturna, più periferica e pericolosa.

  4. Ciao Carlo, leggo solo ora il tuo diario e ti ringrazio per averlo scritto e per come lo hai scritto perchè mi ha resa partecipe delle vostre discussioni anche se non c’ero (spero solo per questa volta) mi sembrava proprio di essere lì con voi! Quel tuo, vostro parlare di Napoli mi ha fatto sentire che non siamo in pochi anche qui a Telese, noi napoletani emigrati nonchè lupi solitari della lettura. E allora quale migliore occasione di uscire dalle nostre tane e incontrarci per condividere fra noi e i nostri ospiti sanniti questa nostra passione da Controvento! Che bello sapere che ci siete!
    Come dicevo, anche io sono una napoletana fuggita, anche se a soli 40 km di distanza, comunque vivo lontano dalla mia amata ma anche odiata città e non è sempre facile. Per carità, qui ci sto bene, la gente è gentile, i nostri padroni di casa parlano anche un dialetto simile al nostro (il che mi fa meno “straniera”) ma, nonostante ciò, sento che siamo molto diversi, cosa che noto specialmente quando sento dire qui che in tanti non vanno a Napoli perchè hanno paura. A nulla valgono le mie parole per descrivere la città per come è ne’ più ne’ meno di come sono tutte le grandi città del mondo, oggi giorno. E mi danno per invitare i miei amici sanniti a venire con me a visitare la Cappella Sansevero, I Gerolamini, il convento di Santa Patrizia, così, giusto per non fare solo San Gregorio Armeno a Natale ma è un’impresa oltremodo ardua. Per questo trovo bello raccontare a chi ha la curiosità di sapere e la pazienza di ascoltare la nostra città (così come io sono affamata dei loro racconti dei briganti). Come tu sostieni, e mi trovi d’accordo, è necessaria la STORIA e, aggiungerei, le nostre testimonianze di vita vissuta. Con queste, credo, possiamo dare loro una mano a capirla e ad amarla nonostante tutto, per me è diventata una specie di missione, un impegno, Napoli, nonostante tutto, lo merita. Chissà, potrebbe giovare a quelli che ne hanno paura e fargli cambiare idea e il loro approccio alla città, alla sua cultura, alle sue tradizioni ed infine conquistarla.
    Il mio libro preferito è IL RESTO DI NIENTE ma, non volendo andare così lontano con la storia, proporrei per gli incontri da Filomena la trilogia di Elena Ferrante che descrive benissimo l’attuale società napoletana: l’amica geniale, storia del nuovo cognome, storia di chi fugge e di chi resta. Che ne dici? E tu Filomena, che ne pensi?

  5. Doveroso è, prima di tutto, fare i “complimentissimi” a Carlo, non avrei potuto immaginare diario più bello. Ridere, capire, creare, immaginare.
    Grazie soprattutto perché, da assente, mi hai trasformata, leggendoti, in presenza viva e desiderosa di commentare.
    Eccomi qui, allora.
    Eugenia, finalmente, un giorno si mise gli occhiali. Lo aveva sperato, desiderato, sognato a lungo, quel momento: «Mammà, oggi mi metto gli occhiali». Era troppo, troppo contenta. Una settimana prima, con la zia, era stata da un occhialaio di via Roma, e quando posò le lenti sul suo naso le sembrò di ‘vedere’ per la prima volta, e pensò a quante belle cose ti offre il mondo: pullover colorati, vecchietti con la barba bianca, «negozi bellissimi, con le vetrine come specchi, piene di roba fina». Da quella volta il suo sogno di possedere un paio di occhiali si era fatto ancora più intenso: «aveva avuto una vera rivelazione: il mondo, fuori, era bello, bello assai» e lei fino ad allora era stata come avvolta in una nebbia. Intanto risuona la voce di zi’ Nunzia, martellante: «in casa nostra tutti occhi buoni teniamo, questa è una sventura che ci è capitata… insieme alle altre. Dio sopra la piaga mette il sale». Quegli occhiali, poi, costano la bellezza di «ottomila lire, vive vive!». Ma non temere, Eugenia, arriverà il tuo momento, arriverà il momento in cui potrai infilarti un paio di occhiali e tenerlo sul naso per sempre: e allora potrai vedere in tutti i particolari «il mondo fatto da Dio, col vento, il sole, e laggiù il mare pulito, grande» e rivedere Posillipo, se vorrai, piccola terra dal nome che tanto ti incanta.
    «Mammà! Gli occhiali!», eccoli, finalmente, gli occhiali. «Eugenia, sempre tenendosi gli occhiali con le mani, andò fino al portone, per guardare fuori, nel vicolo della Cupa. Le gambe le tremavano, le girava la testa, e non provava più nessuna gioia». Un’impressione completamente diversa da quella provata qualche giorno prima davanti all’occhialaio di via Roma, un’impressione terribile le fece il mondo, che poi era un cortile pieno di balconi e di carretti con la verdura e «gli archi dei terranei, neri, coi lumi brillanti a cerchio intorno all’Addolorata; il selciato bianco di acqua saponata, le foglie di cavolo, i pezzi di carta, i rifiuti, e, in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterati dalla miseria e dalla rassegnazione». Mariuccia si accorse che la bambina stava male e le strappò in fretta gli occhiali, «perché Eugenia si era piegata in due e, lamentandosi, vomitava».

    E’ così che finisce il racconto che apre il libro della Ortese finisce con quella bambina mezzo cieca (per la quale gli occhiali rappresentavano l’attesa rivelazione del mondo e, forse, la speranza di un mutamento) còlta da un inquietante smarrimento di fronte allo spettacolo miserabile offerto dalla vita dei vicoli di Napoli.
    Per me è valsa la pena di farsi accompagnare per mano dalla Ortese e visitare la Napoli da lei descritta: come un viaggio nelle viscere della città, durante il quale è la scrittrice che ci porta a conoscere ambienti e situazioni poco noti, e soprattutto ci dona una lettura scevra da pregiudizi e libera da quella facile retorica che ancora oggi caratterizza la maggioranza degli interventi, artistici e no, su Napoli e i suoi abitanti.
    Lei, un moderno Virgilio. Noi tutti, un po’ Eugenia.

  6. Bravo…..è stato bravo! però, abbiamo creato un mostro!

    Una domanda: ognuno fa la sua proposta? DICO Martin Eden o Ebano

    ciao
    g

  7. Grazie dei vostri calorosi commenti, mi fate sentire un premio oscar alla consegna della statuetta. Però per favore votate un solo libro e dalla rosa che ho scritto se no la povera Filomena la andiamo a trovare alla neuro. Io voto per Martin Eden.
    Ciao alla prossima
    Carlo

  8. La mia è una voce fuori dal coro: Il mare non bagna Napoli non mi è piaciuto molto.
    Mi riprometto di rileggerlo in un altro periodo perché molto probabilmente il mio giudizio è notevolmente influenzato dalle contingenze del momento personale non particolarmente adatto alla lettura. Così come mi riprometto di leggere qualche altro testo della Ortese per capire meglio il suo stile.
    E’ il modo di scrivere che non preferisco. Non amo le frasi molto articolate, ricche di pensieri racchiusi da virgole.
    Cito qualche rigo per chiarire il concetto: ” Eravamo, o almeno lo ero io, in quello stato d’animo tra l’angoscia e la consolazione di chi, uscito da una casa di pena, ritrova la luce, l’aria, e in qualche modo la dolce libertà umana, un certo livello di vita, allorché un rumore confuso e dolente, di cui non si avvertiva con chiarezza il significato, oscillando tra il dolore e una sorta di straziato sollievo, attrasse la nostra attenzione”. (p. 89)
    Preferisco la scrittura asciutta ed essenziale ma, molto probabilmente, l’argomento trattato non poteva avere altra forma narrativa. Per parlare di Napoli forse non si può usare un linguaggio essenziale e minimalista, ne verrebbe snaturata l’intrinseca complessità.

    Inutile dire che “La città involontaria” colpisce e può sconvolgere il lettore che di quel periodo storico non abbia un minimo di conoscenza. L’odore di morte e di putrido che si concentra nei Granili era purtroppo diffuso in tutta la città nell’immediato dopoguerra.
    Di tutti i racconti mi è piaciuto in particolare “Il silenzio della ragione” che, in qualche modo, è anche il centro di tutto il romanzo. C’è un passaggio, che riporto, che può sintetizzare quello strano sentimento di nostalgia commisto a voglia di scappare dalla città che accomuna molti dei compagni del gruppo di lettura.
    “Venuto a Napoli, forse per affari, ma soprattutto per il bisogno che quelli che sono stati una volta per queste strade hanno di tornarvi, sentendosi esuli in qualsiasi altro luogo, illusi da un che di straordinario che credettero sentire o vedere, come un’aria d’olimpo, in questa misera città, non trovava nulla, nessuno lo aspettava più, l’amico non gli badava, e molte cose egli doveva avere sul cuore.” (p. 146)

    A proposito della questione suscitata dalla premessa dell’autrice, a quarant’anni dalla prima edizione, credo sarebbe stato interessante leggerla a chiusura del testo, magari preceduta da qualche scritto critico intercorso in quegli anni. Noi lettori di oggi avremmo meglio potuto comprendere e non emettere immediatamente un giudizio negativo del mea culpa dell’autrice.

    Ringrazio Carlo per il puntuale e acuto diario della serata che mi ha permesso di esserci a distanza.
    Mi scuso per la lungaggine del mio commento. Al prossimo appuntamento per il quale io appoggio la proposta di Filomena!

  9. Anche se in ritardo, volevo ringraziare Carlo per il diario della serata, bellissimo! Mi è dispiaciuto molto non esserci l’ultima volta. Detto ciò, aggiungo qualcosa su Interno familiare, il racconto che mi ha colpito maggiormente. A differenza degli altri, è ambientato nel mondo della piccola borghesia, ma è forse quello che più evidenzia le contraddizioni della città…e di tutti noi, credo. La cosa più grave non sono i problemi sociali, ma la rassegnazione. E i protagonisti qui sono tutti rassegnati, cristallizzati nel proprio ruolo, anche e soprattutto i giovani: “Quella gioventù malaticcia e disoccupata, con poche ambizioni, pochi sogni, poca vita”. Solo Anastasia sembra risvegliarsi per un attimo da una vita che era stata soltanto “servitù e sonno”, ma poi subito ricade nella solita inerzia. Tutti si ostinano a negare la sofferenza e persino la morte, chiudono le finestre come se potessero chiudere fuori il mondo…E invece sono destinati a “morire precocemente”. Di fatto, sono già morti.

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