
incontra i lettori di Telese Terme sabato 21 maggio ore 18.30 in libreria Controvento,
intervistato dal giornalista Gabrile Pastore
si parlerà dell’ultimo libro “Carnefici” edito da Piemme.
Scheda libro:
«Io so. So tutti i nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove». È il cuore di un celeberrimo atto d’accusa di Pier Paolo Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera.
Anche Pino Aprile sa. Sa tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”. Lo ha appreso con stupore e sgomento, e lo ha raccontato in un libro spartiacque, Terroni, che ha aperto una breccia irreparabile sulla facciata del trionfalismo nazionalistico.
Se mancavano ancora prove, ora le ha trovate tutte, al termine di un’incalzante e drammatica ricerca durata cinque anni. E sono le prove di un genocidio. Perché è questo l’ordine di grandezza che emerge dall’incrocio dei risultati dei censimenti disposti dai Savoia (nel 1861 e nel 1871) e dei dati delle anagrafi borboniche: un genocidio. Centinaia di migliaia di persone scomparse è la cifra della strage di italiani del Sud compiuta per unificare l’Italia. Si scopre, così, di come venivano rasi al suolo paesi interi, saccheggiate le case, bruciati vivi i superstiti. Si apprende come avvenivano i rastrellamenti degli abitanti di interi villaggi, e li si sottoponeva a marce forzate di decine di chilometri, e a torture. Ci si imbatte in fucilazioni a tappeto di centinaia di persone. L’Italia “liberata” è stata nella realtà dei fatti un immenso Arcipelago Gulag, di cui ora si può ricostruire la mappa e l’organizzazione: deportazioni, campi di concentramento, epidemie.
Sono atrocità degne della ferocia dell’Isis. Per molto meno, sono stati processati e condannati ufficiali e gerarchi nazisti. Ma in Italia, invece, agli autori di quei crimini di guerra sono andate medaglie, promozioni e, talvolta, piazze e strade dedicate in quegli stessi paesi che insanguinarono. Monumenti ai carnefici.
Con pagine di rara potenza, appassionate e documentate, forte di reperti e fonti che per troppo tempo sono stati celati, Pino Aprile svela il vero volto di molti dei presunti eroi della storia Patria, ed evidenzia le ripercussioni di questa tragedia negata e cancellata.
È questa la sua opera fondamentale, la più sconvolgente e ambiziosa. Quella dopo la quale davvero non si potrà più dire: io non sapevo.
Nuovo anno e tanti appuntamenti in libreria 🙂
La bellezza conforta, riscalda e illumina il nostro percorso di vita. Ma è possibile una bellezza indipendente dal bene, perfino alleata del male? Questo libro risponde di no, in primo luogo negando che le immagini siano paradigma di oggettività, emblema di neutralità descrittiva. Anche quando pensiamo che mostrino la realtà nuda e cruda, senza possibilità d’inganno, sono spesso più ambigue di qualsiasi discorso, e danno origine a discorsi senza fine. Il modo in cui sono costruite, tagliate e contestualizzate afferma un progetto di mondo, di umanità: la figura della tabaccaia felliniana di Amarcord potrebbe non distinguersi dalle «velone» dell’omonimo programma tv, ma racchiude un messaggio radicalmente diverso. Nelle particolari circostanze in cui viene proposta e percepita, un’immagine è portatrice di giudizi. Esprime un’etica, fra le tante possibili. D’altra parte, se «un’immagine vale più di mille parole» è perché può suscitare emozioni intense e rappresentare un vigoroso stimolo all’azione: una bandiera che sventola ha portato al sacrificio milioni di giovani; l’immagine di una donna ha causato duelli e deliri. Nella società di massa il potere, in ogni sua forma, ha imparato a fare delle immagini un formidabile strumento di propaganda; ma una foto come quella che Nick Út scattò ai bambini colpiti dal napalm in Vietnam ha cambiato la storia suscitando un travolgente moto di indignazione contro la guerra. Ispirato dai grandi filosofi occidentali, Ermanno Bencivenga ci guida alla scoperta del significato etico delle immagini, muovendosi sul doppio registro della passione e del giudizio. I numerosi esempi tratti dalla storia dell’arte, dal cinema, dalla pubblicità e dalla cronaca confermano uno dei cardini del pensiero kantiano: il bello è simbolo del bene. Lo può rappresentare in modo diretto, come la Sant’Anna di Leonardo, o in modo indiretto, facendone avvertire la mancanza, come il Giudizio universale di Michelangelo. L’esito è identico: risvegliare in noi il desiderio del bene. E se quello della moralità è un compito interminabile, che si scontra con la consapevolezza della nostra imperfezione, allora la bellezza può riconciliarci con il nostro destino di esseri razionali: può accendere in noi la pace e la speranza prima che al loro posto s’insinuino nostalgia e rimpianto, e il compito ci appaia di nuovo insormontabile.
Ermanno Bencivenga è ordinario di scienze umane e filosofia presso l’Università di California; logico di fama, ha dato importanti contributi alla filosofia del linguaggio, alla filosofia morale e alla storia della filosofia. In Oltre la tolleranza, Manifesto per un mondo senza lavoro e Parole che contano ha elaborato un’utopia politica. Per il grande pubblico ha scritto La filosofia in sessantadue favole, Parole in gioco, Il piacere: indagine filosofica, Filosofia in gioco e Il bene e il bello. È autore delle raccolte di poesie Panni sporchi, Un amore da quattro soldi, Polvere e pioggia, Poesia dei miei coglioni e Le parole della notte, della tragedia Abramo e del romanzo Il giorno in cui non tornarono i conti. Ha fondato e diretto per trent’anni (fino al 2011) la rivista internazionale di filosofia Topoi. Collabora al quotidiano Il Sole-24 Ore.









Ieri pomeriggio in libreria c’è stato un incontro con l’autore molto speciale per il
“La Repubblica delle Farfalle” 

